sabato 25 maggio 2013

l'ALCHIMISTA _ Alessandro Dari

Ho la fortuna di vivere questo mondo parallelo 
che fin da bambino mi ha guidato
 

non ho mai avuto un maestro
mio nonno lavorava in banca
mio babbo lavorava in banca
mio zio lavorava in banca
così ho studiato

a sedici anni ho iniziato a fare gioielli
in modo istintivo
non sapevo perché, davvero


 era l’amore
un modo di cercare l’amore
un gesto d’amore rivolto ad una figura femminile
la figura femminile che mi è mancata
mia madre


non c’era il timore di sbagliare
è dall’errore che si scoprono nuove medicine
io sono un errore
e se non facessi questo lavoro mi ammalerei

 quando lavoro, quello che tiro fuori
con dolcezza, violenza e amore
è il mio stato d’animo nella materia 
racchiuso in forme e simboli incomprensibili

un anello è qualcosa di intimo 
racconta una parte segreta di chi lo indossa
 
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giovedì 16 maggio 2013

Favola d'Autunno

 

Tanto tempo fa, in una terra non così lontana, Alos, la principessa dei sospiri, guardava verso il mare; non ci è dato sapere se lo vedesse davvero perché non è chiara la geografia del luogo o il tempo in cui si svolge la vicenda; sappiamo però che era in un periodo in cui molte cose dovevano ancora essere decise: la pizza e le stagioni non esistevano ancora, l’olfatto era ancora in fase di sperimentazione, il gorgonzola c’era già, però non c’erano i grissini, c’era la collezione di figurine del Papa eppure Gesù non era nato, l’aceto balsamico non era balsamico perché non esisteva Modena. Ma una cosa c’era, ed era bella e profumata come lo è oggi: i fiori. Sette fiori in tutto il mondo. Non potevano morire perché non esistevano le stagioni, non volevano dire niente perché non c’erano convenzioni, non eran 3x2 come nelle promozioni, non venivano mangiati durante laute colazioni eccetera eccetera continuate voi. Ma perché abbiamo nominato Alos per poi dimenticarla? E perché guardava il mare? Un attimo di pazienza. Sei di questi fiori erano già stati colti per essere regalati alle sei donne più belle del reame [o del rame]. Le donne li avevano ricevuti in dono da valorosi guerrieri ammazzadraghi [lavoro facile perché i draghi non esistevano nemmeno allora], e così ognuna di loro si era sposata il suo uomo senza nemmeno un giorno di convivenza. I sei maschi le avevano portate al loro castello collettivo ed erano ripartiti in cerca di un tabaccaio. Non tornarono più. Lentamente le giovani erano ingrigite e i fiori si erano avviliti molto, fino al giorno in cui alcune menti geniali al servizio di sua mestà Re Tristano inventarono contemporaneamente la tinta per capelli e il giardinaggio. Le sei signore e i fiori tornarono così a mostrare il meglio di loro, e vissero tutti felici e contenti. Ah no, aspetta.
Viveva al tempo a Pomezia [la città del ponteponentepontepì tappetapperugia] un cavaliere di dubbio valore e gusti che passava le giornate a cavalcare nelle desolate lande attorno alla sua città natale; era di ricca famiglia, ma era stato allevato da una coppia di zebre perché al tempo non esistevano ancora le tate [per questo si dice “inventate. Il giovane crebbe forte e di bell’aspetto, nessuna donna e nessun equino avrebbe saputo resistere al suo ammaliante odore muschiato [Si, ma non volevamo parlare di Alos? Pazienza]. Sfortunatamente IIIH [questo il nome scelto per lui dalle zebre] non aveva aspettative nella vita, sembrava deciso a prosciugare i danari della famiglia senza neanche dar loro la speranza di una discendenza: a lui non interessavano le schiere di principesse che gli si prostravano innanzi, e neanche le cavalle. Gli ormai anziani genitori pazientavano, sperando che l’amore improvviso o l’adolescenza gli facessero fare un passo falso, ingabbiandolo nella paternità. Un giorno che IIIH si aggirava in cerca di avventura lungo il corso del fiume Niubbo [fiume sacro dove si riunivano gli adepti dell culto di Emoticon], vide improvvisamente ergersi un’avventura travestita da montagna di incommensurabile portata. Conscio che la geografia era davvero un grosso problema al tempo e che la montagna avrebbe potuto inabissarsi altrettanto velocemente, decise comunque di arrampicarsi lungo le pendici scoscese, pronto ad affrontare le terribili insidie di quel luogo con il suo tagliacarte di fiducia. Camminava da ore ed il sole iniziò a sorgere; IIIH non sapeva che fare, si era completamente dimenticato di questo avvenimento, aveva percorso come stregato i sentieri in salita e adesso il colossale astro stava per splendere in cielo; iniziò a sudare e piangere e sanguinare dai pori, poi si ricordò che non era un vampiro e quindi poteva continuare tranquillamente a camminare. Il sole era già alto quando sul sentiero che stava tracciando lui per la prima volta trovò una biforcazione con un cartello che indicava le specialità del luogo: andare a destra verso le rocce insanguinate e i piccioni in umido o a sinistra nel pendio della disperazione e del ginepro mangiauomini? Ardua scelta; optò per la sinistra, non aveva mai digerito le rocce insanguinate. Aveva percorso migliaia di centimetri quando si trovò di fronte a qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di incontrare: un ginepro mangiauomini! 
 

 
Vuole il caso che il giovane conoscesse un’antica leggenda del suo paese per cui dentro alla creatura si trovava un’arma magica, lo stuzzicadenti di distruzione di massa dolorosissima; notò quindi che involontariamente si era imbattuto non solo nella pianta, ma anche nelle funzioni proppiane: era nella prova qualificante! Decise di affrontare subito la pianta ed estrasse il tagliacarte, che non c’era più perché era caduto subito dietro di lui, proprio nella zona d’ombra del suo sguardo fallace. Dopo averlo cercato per un paio d’ore si girò verso la pianta con gli occhi lucidi e notò che si era seccata per la noia, impiccandosi a un ramo. Riuscì quindi a prendere possesso della stupefacente arma. Continuò il suo cammino verso la vetta per giorni quando finalmente giunse sulla cima fredda e roccioso. Pur non sapendo ancora cos’era venuto a fare così in alto e in mezzo a tutte quelle pietre, un vago senso di soddisfazione lo pervase, nella vita aveva finalmente portato qualcosa fino in fondo e fino in cima contemporaneamente. Ma lassù una nuova sfida lo attendeva: la prova decisiva! Un transessuale di tredici metri andò incontro ad IIIH facendo schioccare le labbra con fare minaccioso. IIIH avrebbe voluto intavolare una discussione sul valore dell’amicizia tra uomo ed ex-uomo, ma si accorse di avere un pezzo di lattuga tra i denti, e che figura ci avrebbe fatto a parlare con la bocca sporca davanti a una persona così bene in vista. Che fortuna, frugandosi in tasca trovò proprio uno stuzzicadenti! 
 

 
Fu un attimo: a lui saltò via la mandibola, ma in compenso il gigante esplose in un turbine di silicone e tinta per capelli. IIIH non si sentiva proprio benissimo e stava per andarsene quando qualcosa attrasse il suo sguardo. Alos? No, macchè?! Era una creatura viva in tutta quella morte, una cosa rara di incredibile valore che aveva atteso a lungo che qualcuno la raccogliesse: il settimo fiore, il più bello [perché tanto è sempre così]. IIIH sapeva della sua esistenza e fu piuttosto contento di averlo trovato; lo rincartò in un giornale e scese dal monte con un salto.
Nel frattempo Alos [EVVIVA!], che continuava risoluta a guardare verso il mare, notò scendere da una montagna di recente formazione un giovane piacente che sembrava prossimo a dover mettere in atto la prova glorificante, così lo chiamò:
- OiiiH! -
Sentendosi chiamare per nome il giovane IIIH si voltò verso la voce ed estrasse il fiore per difendersi. Alos impallidì, ebbe un conato che cercò di trattenere a denti stretti ma ci riuscì solo in parte, svenne, venne rianimata ma svenne di nuovo ed entrò in coma, poi ritornò in vita ma iniziò a piangere perché in quel momento si sentiva molto donna, poi si ricordò del giovane col fiore e si affacciò di nuovo alla finestra, strepitando come se fossero arrivati i saldi:
- Il settimo fiore, oh splendore! Tu giovane straniero che hai varcato le soglie del mio cuore dopo aver affrontato indicibili prove e traversie innumerevoli con estremo dolore, dimmi, hai portato a me quel magnifico dono? Sono io la prescelta? Devvo sono io? Io io io? -
- Auh… tu? No! – rispose IIIH, che chiamò il suo cavallo e glielo diede il fiore da mangiare.
Alos era sbiancata, non riusciva neanche a piangere, ne tantomeno a ridere, così iniziò a fare la maionese, che ben si addiceva al suo stato catatonico, e anche perché le serviva qualcosa di ipercalorico, visto che uno strano vento freddo iniziava a spirare da nord. IIIH aveva inconsapevolmente pronunciato le parole magiche che avevano dato il via alla rotazione delle stagioni, partendo proprio da quella in cui i fiori perdono vita e si accasciano a terra esanimi; e così avvenne per i sei fiori nelle mani delle donne a cui si iniziava a vedere la ricrescita. A nulla servirono le amorevoli cure dei giardinieri e dei parrucchieri, neanche invertendosi i ruoli, per tre lunghi mesi e ancora per i tre successivi la decadenza regnò in quel reame non così lontano. Per dare a questi novanta giorni circa un nome che echeggiasse in eterno vennero scelte proprio le incaute parole che il giovane IIIH aveva pronunciato rivolto alla bella Alos, spezzandole il cuore e, conseguentemente, facendola ingrassare abbestia; in compenso IIIH si sposò con il suo destriero ed ebbero due bei centauri, Harley e Davidson.
La storia è finita; ogni 21 Settembre ricordati di tenere viva la tradizione, regala ad una ragazza un barattolo di maionese e vai a correre nei prati.